Undicesima Domenica del Tempo Ordinario
«Nella prima parabola raccontata nel Vangelo di questa domenica tra la semina e la mietitura c’è un tempo di inattività del contadino, inattività necessaria affinché il seme spunti da solo, senza il suo intervento. Infatti, c’è un evento che egli non può determinare e dunque deve respingere la tentazione di farlo: che il contadino dorma o si alzi, egli nemmeno sa come seme germina e cresce fino alla maturazione.
Condizione del maturare del frutto è l’inazione del contadino, il non forzare i tempi della crescita. Ma questa inattività non è indifferente, non è disimpegnata: è colma di attesa fiduciosa; è colma di quell’azione interiore che è l’attenzione; è colma di quell’azione spirituale che è la pazienza.
Certo, queste cose, dette oggi nei tempi delle tecnologie invasive applicate alle coltivazioni agricole, dei metodi di produzione intensiva dell’agricoltura industriale che aboliscono i tempi necessari alla crescita violentando le piante e i terreni, sembrano anacronistiche. Ma forse dovrebbero indurci a interrogarci su questa ideologia della fretta, dell’ottimizzazione dei tempi, che di fatto altro non è che l’eliminazione del tempo.
Nella parabola, il contadino è chiamato all’azione interiore, alla vigilanza di chi dovrà essere pronto a cogliere l’attimo in cui il frutto è maturo per mietere: «Quando il frutto è maturo, subito manda la falce, perché è giunta la mietitura».
La parabola vuole probabilmente narrare la pazienza di Dio, la capacità del Signore di attendere i tempi umani, ma essa suggerisce anche a noi una modalità di lavoro che la non-azione, l’acconsentire alla maturazione dell’altro senza forzare i tempi, l’acconsentire alla all’azione di Dio nell’altro senza fretta. Si tratta di imparare la faticosa arte di non agire, di aiutare ciò che procede da solo, di porre un freno alla nostra impazienza, di astenersi dal voler intervenire direttamente impedendo la giusta possibilità del terreno di dare frutto nella propria misura e a proprio tempo. Occorre lasciar fare facendo fiducia alla potenza del seme-parola Di Dio e alla capacità di accoglienza della terracuore umano. Lasciar fare senza trascurare, senza disimpegnarsi, ma avendo cura, pazienza, aiutando la crescita con un atto veramente generante: la fiducia profonda nell’altro fino ad attenderne la maturazione» (Luciano Manicardi).